Chieti – Vogliono privatizzare anche i tartufi

Chieti – Vogliono privatizzare anche i tartufi

CHIETI. «L’Abruzzo dei boschi e dei tartufi rischia di essere privatizzato dai Comuni e interdetto alla libera circolazione di turisti e appassionati in cerca del pregiato tuber. C’è il pericolo di un ritorno al feudalesimo, e Pereto nell’Aquilano è già un esempio che dovrebbe far suonare il campanello in Regione».

L’allarme lo lancia Gabriele Caporale, presidente dell’Amta (Associazione micologica tartufai d’Abruzzo), sede a Perano nel Chietino e più prestigioso sodalizio regionale della specialità con oltre trecento iscritti. Con adesioni già giunte dai colleghi molisani e da diversi gruppi sparsi per l’Italia, l’associazione teatina torna a mettersi alla testa del movimento dei tartufai abruzzesi per convincere l’assessore all’Agricoltura Mauro Febbo sulla necessità di intervenire contro il provvedimento del piccolo municipio aquilano.

Pomo della discordia è la recente stretta operata dal Comune di Pereto, paese ai confini con il Lazio e mèta rinomata dei cercatori di tartufo, che ha chiuso l’attività ai non residenti con l’eccezione del rilascio di licenze annuali a 500 euro l’una sorteggiate tra tutti i forestieri richiedenti. Il sindaco è il destinatario di una lettera dell’Amta, che per conoscenza ha inviato copia anche al prefetto dell’Aquila e al presidente della giunta regionale Gianni Chiodi.

Lettera che si chiude con l’esortazione a «cancellare questi nefandi articoli dal vostro regolamento», con riferimento al divieto ai non residenti e alla richiesta della tassa. Caporale conferma le sue preoccupazioni e spiega perché l’Abruzzo potrebbe diventare un inferno per gli appassionati della “caccia” al tartufo. «Pereto», attacca, «ha abilmente giocato su alcune lacune della recente legge regionale che disciplina l’attività, e ha chiuso il demanio comunale ai forestieri col pretesto di equiparare la raccolta del tartufo agli usi civici riservati all’ente e ai residenti. Ma non è così», precisa il presidente Amta, che nel logo ha inserito lo slogan “Il tartufo è di tutti”, «dal momento che riservare con queste modalità equivale a recintare il mare o la montagna. Semplicemente è incostituzionale, oltre che contro il buon senso». Il precedente stabilito da Pereto è pericoloso, secondo l’associazione abruzzese, perché stabilisce un’ambigua analogia tra i demani comunali e il diritto dei privati di costituire riserve del tartufo attraverso opere di recinzione o “tabellazione” di terreni vasti e non circoscrivibili.

«E’ del tutto lodevole», incalza Caporale, «regolamentare la ricerca con fini di tutela del territorio, obiettivi per i quali noi stessi ci battiamo da sempre, ma l’ostracismo imposto ai non residenti è fuori legge». Poi Caporale anticipa che l’Amta avvierà una nuova azione in Regione, analoga a quella che lo scorso autunno condusse a un ricorso al Tar già pronto per chiedere una norma esplicita sul divieto di restrizioni apponibili dai Comuni alla ricerca del prezioso tubero, che nella variante bianca arriva a quotare 2.000 euro al chilo.

«Chiederemo all’assessore Febbo di chiarire al Comune di Pereto che quel regolamento va contro l’articolo 24 della legge 66 del 21 dicembre 2012, quella legge che anche noi abbiamo in qualche modo contribuito a scrivere. Appunto, all’ultimo comma è scritto che i Comuni o qualsiasi altro ente non possono imporre contributi aggiuntivi o diversificare le condizioni tra residenti e non residenti», annota Caporale, «mentre l’articolo 5 al prevede che gli stessi enti non possono stabilire divieti se non autorizzati dalla Regione». Poi i consigli dell’Amta a Pereto. «Il nobilissimo intento di salvaguardare l’ambiente tartufigeno», spiega il presidente, «si realizza semmai in altri modi, per esempio monitorando il territorio anche con i volontari. Monitoraggio che equivale a evitare il fenomeno delle “zappature”, la vera piaga che distrugge definitivamente la tartufaia».

Francesco Blasi

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