Vino & tartufi : l’abbinamento giusto
Vino & tartufi : l’abbinamento giusto
Vino & tartufi – Quando si parla di tartufo, sia della varietà bianca (Tuber Magnatum Pico), sia della nera (Tuber melanosporum), non possiamo parlare che d’un “profumo” o meglio d’un catalizzatore di profumi Il profumo, per un complesso meccanismo di papille sensoriali, diviene anche un sapore ed in questo caso, sapore particolare che esalta altri sapori. Il discorso si farebbe lungo ma è necessario parlare dell’accordo dei sapori che, in gastronomia, sono importanti quanto un accordo di uguale scala per creare un tono positivo e non una disastrosa cacofonia in una sinfonia.
Il vino, per il cibo, ha una azione praticamente uguale a quella del tartufo; e qui si potrebbe raggiungere l’unica risposta dell’accordo dei sapori quando parliamo degli altri ingredienti aromatici che creano il ‘sapore”, il gusto totale, di qualsiasi vivanda.
Ma, sia pure generalizzando, dobbiamo ricordare come tartufo e vino (aggiungo anche il formaggio) sono sapori e profumi forti che, se non ben dosati, portano alla sottrazione d’un fondo aromatico nella esaltazione d’un unico tono finale.
Un modo di gustare il “tartufo”, il nero di Perigord, famoso in Francia al pari del nostro di Norcia, dal profumo morbido ed intenso, è quello indicatoci da Alessandro Dumas, famoso per la sua “Signora delle Camelie” che invita gli amici a degustare i tartufi cotti, come patate, sotto cenere ed accompagnati da un robusto annoso Bordeaux servito a ben 20 gradi C. di temperatura.
Da noi una simile galanteria potrebbe sposarsi con un Brunello classico d’annata superiore…ma sono rari i ma”tre disposti a presentare una simile delicatezza cos“ semplice ma squisita.
Si da colpa all’alto costo di base insieme alla semplicità della preparazione a creare una certa diffidenza da parte del consumatore ma la creazione di questo gusto unico di alto valore porta a mettere in evidenza l’essenzialità del pregio che reca il tartufo nella alta gastronomia.
Una nota importante nell’uso di questo “diamante della cucina” è quella di sottolineare come sia diverso l’impiego dei diversi tipi di tartufo: il “melanosporum” tartufo nero, in tutte le sue variazioni sviluppa le sua preclare qualità quando è cotto, specialmente quando servito nel cibo caldo.
Il suo profumo, in tal caso si esalta solleticando le papille gustative in maniera s orprendente da portare il sap ore del piatto al vertice.
Diversa la funzione del tartufo banco ” tuber magnatum pica” che richiede di venire servito da crudo, fresco di raccolta, affettato in sottili fettine per esaltarne le sue preclare qualità organolettiche.
Un vino rosso, corposo, molto profumato, come un robusto NOBILE di Montepulciano. è quanto di meglio si possa trovare per degustare dei crostini molto facili, ottenuti semplicemente completando delle sottili fettine di pane crogiato, con uno straterello di burro (potremo usare anche una lacrima del nostro saporitissimo olio d’oliva extra vergine dei Colli Chiantigiani) ed abbondante nevicata di tartufo.
Sempre un saggio completamento di tartufo bianco, su una ” Tartara” preparata con carne di pollo invece che di manzo, tartufo e burro, ricetta usata quale eccezionale afrodisiaco, richiede un goccio d’un Rosso dalle doti particolari.
Un “Brunello” d’annata può essere una soluzione anche se nell’uso di propiziatore d’amore, veniva consigliato un servizio con tartine….e Champagne.
Diverse teorie hanno ultimamente portato a rivedere ogni scelta di vino sul “tartufo” in quanto bisogna accettare la tesi che questo prezioso tubero diviene complemento al piatto ed allora, quello che più conta, dobbiamo scegliere il vino per il piatto e quindi calibrarlo sull’importanza che il tartufo gli arreca.
Ecco la volta di ” Vini bianchi profumati ” quando ci troviamo di fronte a certe insalate dove predominano funghi particolari quali gli “ovuli” ed il tartufo vi sta quale catalizzatore del sapore . In questo caso, in Toscana userei un bianco di Pitigliano, servito a circa 10 gradi di temperatura; altrove, in Piemonte ad esempio, dove la”religione” del tartufo èsicura fede, sarei propenso per un ottimo Cortese di Gavi (Villa Sparina) oppure, adattando il piatto come si conviene, al vino, un perfetto Erbaluce asciutto e nello stesso tempo pregno d’una propria inimitabile morbidezza da vino fatato.
Proseguo con un altro bianco,una Vernaccia Sangimignanese, servita sui 10 gradi, sulle Tagliatelle all’uovo, burro e tartufo con una limitata dose di formaggio grana che altrimenti il “tartufo” mi passa in secondo ordine (e ce ne vorrebbero megadosi per avere un certo squisito risultato).
Un bianco eccezionale e senza riserva per il suo eccezionale spettro di abbinamento, risulta il prodigioso Verdicchio di Jesi, vino di gradazione robusta legata ad un insieme di profumi che lo fanno distinguere per la sua prelibatezza.
Le uova preferiscono dei vini piuttosto aromatici, bianchi prestigiosi oppure se il piatto risulta piuttosto saporito, dei “rosati”; e tra questa prolifica schiera, sceglierei un ottimo “Copertino” dopo un “Rosato di Bolgheri” che userei soprattutto con dei tartufi neri di Norcia, impiegati ad esempio per ben bilanciare il gusto in un contorno con “asparagi” servito insieme a delle uova ripiene.
La “Fonduta” si sceglie il vino in relazione alla forza del formaggio usato:sono propenso a vini rossi, robusti, ma particolarmente morbidi con un gusto eccezionalmente vellutato come potremo riscontrare in certi nobili campioni di “Rossi della Valtellina“, quale un ottimo “Inferno” ben stagionato .
In Piemonte non mi lascerei sfuggire un vecchio Barolo o, in Toscana, un prestigioso Brunello di buona estrazione, giustamente carico d’anni, come certe polverose bottiglie della Cantina del Matrichese. .
Tra i piatti da segnalare tra i più straordinari immediata, in tal campo, giunge la presenza del celeberrimo “Fagiano alla Caruso”, piatto non comune, dove il tartufo impera davvero sovrano.
Il sovrabbondare dei sapori, l’energico aggancio del “Porto”, i tanti profumi che vengono fuori da questo splendido piatto richiedono un vino di qualità straordinaria.
Mi dicono che al” Fiorenza “, quando il piatto fece la sua comparsa ad una Cena di fine anno ai primi del nostro secolo, in onore del grande tenore, il Ma”tre Malfatti innaffiò il tutto con abbondante champagne, vino che, anche se può risultare una soluzione elegante, non arriva a soddisfare il gusto di molti somelliers scrupolosi.
Sicuramente un classico ” Nobile “, con qualche anno sulla camicia avrebbe dato dei risultasti sicuramente superiori e si potrebbe poi aggiungere, tra i Toscani, un Carmignano oppure, ancor meglio, dal Piemonte, una vetusta bottiglia di Barolo ricco di un eccezionale “goudron” che ben s’impasta con il gusto ed il profumo penetrante del tartufo.
Sul un “Pollo in galantina” piuttosto speziato, arricchito di abbondante tartufo nero, e poi pinoli e pistacchi, è accettabile l’uso d’uno spumeggiante “Brut” millesimato ma anche un goccio di vino bianco, leggermente frizzante, alcolico e molto saporito quale un Verdicchio selezionato,potrebbe risultare una scelta molto intelligente.
Fuori della Toscana andrei vicino ad Ancona per appoggiarci un mezzo bicchiere di “Sangue di Moro d’Alba“, un rosso dal profumo entusiasmante con toni particolarmente fruttati con un insieme di aromi di “sottobosco” superlativi ed una beva eccezionale un vino della famiglia dei “Rossi del Piceno” che, per profumo e sapidità non ha rivali.
Tra i Toscani debbo ricorrere ad uno splendido CHIANTI: il GRIGIO, della fattoria di San Felice, profumato e robusto vero ideale compagno del grande “tartufo” che ben sosterebbe il suo ruolo di grande mattatore Altro discorso quando si incontra un piatto prestigioso nella sua semplicità quale una ” Omelette tartufata” preparata unicamente con sole uova ma abbondante la presenza di tartufo bianco ecco che un “bianco ” di particolare corpo ed eleganza risulta compagno ineffabile; eccovi allora, a vostra disposizione un robusto Verdicchio di Jesi classico servito a 12 gradi di temperatura Un importante incremento all’uso del “tartufo” sulle mense toscane venne portato nel periodo che Firenze fu capitale d’Italia. Col “Barolo” arrivo anche l’uso indiscriminato del tartufo di Alba, il tartufo bianco mentre da noi era più facile accostarsi al tartufo nero che più facilmente si poteva raccogliere nei nostri territori. Se nella cucina Piemontese risultava più vivace la presenza del tartufo in piatti ricchi di panna, burro e latte di pura derivazione francese, diverso l’accoppiamento ai classici sapori toscani, modellati sul prezioso olio d’oliva, accompagnati da un vino sapido e brillante insieme all’elegante contributo del profumo delle nostre erbe, già ricchi d’aromi.
La moda del “tartufo” portò alla creazione di piatti nuovi come certi piatti di selvaggina preparati con fegato e tartufi dove il vino doveva dominare la forza d’un tenace sapore e profumo di fondo.
Dobbiamo qui ricordare i piatti della serie del “malaga e del marsala”, vini usati per dare una cornice prestigiosa ai piatti cucinati, all’inizio, da cucinieri non toscani. Bisognera aspettare la diffusione d’un vino particolarmente calibrato e robusto per poter equilibrare il gusto di queste pietanze straordinarie. Dalla storia sappiamo come Bettino Ricasoli riuscisse ad imporre il CHIANTI sulla grande invadenza dei vini Francesi e poi Piemontesi. Un “vino” non da mensa popolare ma da conviti di V.I.P. sarà scelto nel Vino di Carmignano, vino considerato, più che mai oggi, grandissimo campione tra migliori, in assoluto, dei vini del nostro Paese. Vino questo con uvaggio dove risulta presente una certa percentuale di Cabernet franc, l’uva che entrata a far parte dell’uvaggio consentito ,dal disciplinare, dello stesso Chianti.
Sulle “Braciole” che Vittorio Emanuele II gustava in quel di Firenze, a proposito di vini, poco ci riporta la storia. Si presume che il Sovrano vi appoggiasse i grandi vini di Borgogna tanto di moda all’epoca, oppure i vini che gli arrivavano dal Piemonte, sia il Nebbiolo che il Barbaresco che pare fossero i vini che prediligeva.
Sappiamo che il Ricasoli gli fece conoscere il suo Chianti, una sua riserva imbottigliata mentre stilava le sue “Sperienze comparative”, un trattatello vero documento che sigla la nascita del più famoso vino Italiano nato nei “giardini ” della Toscana.
Non possiamo aggiungere altro salvo la riprova della soggettività degli “accoppiamenti” pur sempre però basati sulla formula di assonanza di sapori anche se questo tema sembra difficile a spiegarsi a parole.
Riprendere il tema, seguendo il preciso schema che il sapore ed il profumo si esaltano con altro profumo e sapore, porta alla facile conclusione che il tartufo, come tutti i cibi ricchi di tali elementi, non possa dimenticare questo schema ed accettare, ogni qual volta si trova presente in particolari, squisite vivande, dei vini di grande pregio che ne rendano, nella giusta cornice, evidenti tutte le sue straordinarie virtù.
L’abbinamento perciò deve:
1. “lisciviare” l’effetto del dialline sulfureo e del tio-eterei in bocca; (spazzolare)
2. essere il meno “tannico” possibile, (non ingerire amaro + astringente)
3. essere in grado di ridurre le note “iper-aromatiche” del tartufo (equilibrare)
4. sposarsi piacevolmente con l’intera pietanza sia in purezza (tartufo crudo) o in combinazione alimentare.
La regola consigliata è questa:
5. i vini rossi abbinabili sono quelli fruttati e giovani, per gli antipasti e stuzzichini; di medio corpo e
medio giovani per i primi e secondi piatti; particolari e speciali per i dolci.
6. i vini ideali sono quelli bianchi, specie se a doppia fermentazione (metodo classico), capaci di
smorzare gli eccessi aromatici del tartufo, grazie all’assenza dell’amaro dei tannini ed alla dolcezza dei
flavonoidi. Le bollicine infine grazie all’anidride carbonica, innescano una funzione tipo “spazzola
lisciviare” riportando il equilibrio il Ph della saliva con quello della pietanza; Gli Spumanti metodo
classico sono consigliabili a tutto pasto.
fonti:tubernet , osvaldomuri